mercoledì 7 gennaio 2009

Gli scienziati coinvolti nel dibattito etico-politico

Gli scienziati italiani citati nelle seguenti pagine sono solo alcuni dei nomi che hanno preso parte al vastissimo dibattito in materia di ricerca sullle staminali embrionali; riportando le loro argomentazioni non vogliamo certamente fornire una panoramica completa della controversia. Il nostro è unicamente un invito all’approfondimento.

Il fronte dei contrari

Il vastissimo e complesso dibattito tra scienziati, policy makers, associazioni dei malati e autorità religiose ha configurato la ricerca sulle cellule staminali embrionali come quello che il sociologo francese Bruno Latour definirebbe un “ibrido”, cioè un argomento di certo inerente a questioni di carattere scientifico, ma che allo stesso modo coinvolge altri campi del sapere, quali politica, economia, etica, religione e così via.
Individuare fino a che punto le argomentazioni addotte da alcuni scienziati italiani circa l’inutilità della ricerca sulle cellule staminali embrionali, siano totalmente scevre da motivazioni di carattere etico e religoso, appare tutt’altro che semplice. Certamente dichiarazioni di questo tipo sono sostenute, come è facilmente intuibile, dalla Chiesa cattolica e dagli attori ad essa correlati (media, partiti politici, associazioni di cittadini), da sempre in Italia parti integranti del dibattito non solo etico-politico, ma anche scientifico.
Paul K. Feyerabend ha più volte sostenuto che la visione scientifica del mondo sia riuscita ad imporsi in modo così efficace grazie alla sua straordinaria capacità di produrre “risultati” (cfr. “Ambiguità e armonia”, cap.2), cioè di trovare soluzioni soddisfacenti a determinati problemi.
La possibilità che la ricerca sulle staminali embrionali dia o meno risultati scientifici, è sicuramente uno dei punti cardine della controversia.
Un risultato dal comprovato valore scientifico coinciderebbe, nel caso da noi considerato, con la possibilità di avviare una serie di terapie volte alla guarigione di determinate malattie. In caso contrario la ricerca sulle staminali embrionali altro non sarebbe che una perdita di tempo (e di denaro).
Attraverso l’analisi delle diverse fonti utilizzate per la mappatura (interviste rilasciate dagli scienziati ai quotidiani, comunicati di alcuni scienziati impegnati in associazioni di vario genere, ecc.) è stato possibile notare come il dibattito circa l’opportunità della ricerca sulle cellule staminali embrionali in Italia, sembri essere inscindibile dalla controversia circa l’efficacia e le potenzialità, delle cellule staminali adulte e delle cosiddette “cellule staminali riprogrammate” (chiamate iPS, induced Pluripotent Stem cells sviluppate dalle ricerca dirette da Yamanka), cioè delle cellule staminali adulte trasformate in cellule dalle potenzialità simili a quelle delle cellule embrionali.
Ma quanto detto sin ora non è certo sufficiente ad inquadrare la questione e una precisazione è senza dubbio d’obbligo: la controversia sorta intorno alla ricerca sulle cellule staminali embrionali è strettamente correlata ad un’altra controversia fondamentale della bioetica – a tutt’oggi lungi dall’essere risolta: l’individuazione del momento in cui si possa parlare di “nascita della vita”. Ovvero, si può parlare di “vita umana”, e dunque dei suoi diritti imprescindibili, sin dal momento della fecondazione, o al contrario solo in stadi successivi dello sviluppo dell’embrione?
Un simile tema costituisce sicuramente lo sfondo dinnanzi a cui si fronteggiano le diverse posizioni degli scienziati italiani (anche se una simile contrapposizione è riscontrabile nella maggior parte dei paesi occidentali) coinvolti nel dibattito etico-politico.
In particolare nel caso che stiamo analizzando il motivo del contendere può essere così semplificato: l’estrazione, a fini di ricerca ed eventualmente di terapia, delle cellule staminali embrionali comporta la distruzione della blastocisti, l’ammasso di cellule in cui si configura lo zigote dopo quattro giorni dalla fecondazione. La blastocisti, per diversi scienziati, è una persona vera e propria, dal momento che la vita, o se vogliamo la determinazione di un individuo vivente così come lo intendiamo, inizierebbe con il concepimento, cioè con la fecondazione di un ovulo da parte di uno spermatozoo. Eliminare una blastocisti significa non dare ad un individuo, così come lo intende il senso comune, la possibilità di vivere.
Abbiamo avuto modo di constatare come persino le divergenze presenti nell’area cattolica – teniamo a precisarlo tutt’altro che monolitica – in materia di ricerca sulle staminali embrionali ricalchino, più o meno apertamente, le contrapposizioni inerenti a questo tema.
Ovviamente non si può sostenere semplicemente – e noi non abbiamo certo intenzione di farlo – che gli scienziati italiani formulino dei giudizi sull’inutilità scientifica della ricerca sulle embrionali, unicamente perché sostenitori o avversari dei principi della Chiesa cattolica. Tuttavia è interessante notare come, molto spesso, le argomentazioni circa gli scarsi risultati – se non addirittura circa i rischi – derivanti da questo tipo di sperimentazione siano sostenute da studiosi vicini ad associazioni e movimenti apertamente schierati con le posizioni del Vaticano; spesso e volentieri questi studiosi sostengono gli argomenti circa una maggiore efficacia, e la totale assenza di rischi, delle cellule staminali adulte e adulte riprogrammate.
D’altro canto non mancano scienziati apertamente schierati con la CEI che, pur adducendo a sostegno della loro opposizione a questo tipo di ricerca motivazioni dal carattere squisitamente etico e costruendo su esse il nucleo forte delle proprie argomentazioni, sostengono ugualmente la tesi della scarsità dei risultati prodotti dalle staminali embrionali e il tema della loro pericolosità.
A questi argomenti – che di per sé rendono già la situazione complessa – si aggiunge un’altra questione, se vogliamo molto vicina alla succitata capacità della scienza di produrre risultati, ovvero quella della “libertà di ricerca”. Possiamo porre la questione in questo modo: fino a che punto la scienza per cercare di produrre risultati, dal suo punto di vista (Feyerabend docet) certamente utili e fondamentali per il benessere delle persone, ha il diritto di decidere e di imporre quel suo punto di vista – materialista – in questioni riguardanti anche altri campi del sapere, quali religione, etica, politica, ecc.?

La posizione di Oreste Arrigoni, biologo dell’Università di Bari e accademico dei Lincei sembra essere una summa di tutte queste argomentazioni.
Nel suo articolo “E io scommetto sulle cellule “ringiovanite””, apparso sull’ “Avvenire” (10 Marzo 2005), Arrigoni sostiene innanzitutto che diversi studi abbiano mostrato come le cellule staminali embrionali in coltura rivelino “una spiccata tendenza a formare tumori”. Di conseguenza, allo stato attuale, le cellule embrionali pluripotenti non consentirebbero “un’ampia utilizzazione a fini terapeutici”. Prosegue il biologo “Se a queste considerazioni scientifiche si aggiungono tutte le implicazioni etiche, si deve concludere che esistono motivi validi per dire no all’uso per la sperimentazione degli embrioni all’uopo prodotti, e anche di quelli congelati”.
La poposta di Arrigoni è quella di indirizzare la ricerca sulle cellule staminali adulte riprogrammate o “ringiovanite”, cioè ricondotte alla pluripotenza della fase embrionale o, secondo alcuni, “pre-embrionale”; una linea di ricerca “da privilegiare non soltanto per gli affascinanti risultati scientifici che ne deriveranno, ma anche perché consentirà ai ricercatori di disporre di tante cellule pluripotenti senza dover ricorrere alle cellule staminali dell’embrione umano, la cui utilizzazione per fini di ricerca solleva problemi etici di rilevanza fondamentale”.
In tal modo, secondo l’accademico, “libertà di ricerca” deve sottostare al “senso di responsabilità e rispetto della vita umana”, e così “permettere l’uso di embrioni umani per la sperimentazione significa affidare ciecamente ad alcuni uomini il potere di vita e di morte su esseri umani”.
Tutto ciò porta Arrigoni a considerare la ricerca sulle staminali embrionali un “uso arbitrario di vite umane da parte di chi non ne ha rispetto”.


Anche scienziati come Bruno Dallapiccola (professore di Genetica Medica presso l'Università "La Sapienza" di Roma) e Maria Luisa Di Pietro (professore associato di bioetica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché membro del Comitato nazionale di bioetica), copresidenti dell’associazione cattolica “Scienza e Vita”, sostengono pubblicamente la propria opposizione alla sperimentazione sulle embrionali, adducendo argomentazioni sia di carattere etico che inerenti all’utilià scientifica. I due scineziati infatti sostengono "l'identità umana dell'embrione umano sin dalla fecondazione" e l'inammissibilità "della sperimentazione distruttiva" su di esso; sperimentazione che appare oltretutto "incerta" negli esiti, a fronte dei risultati terapeutici "assai positivi" forniti "dalle ricerche che utilizzano cellule staminali adulte" (queste argomentazioni provengono da una dichiarazione di “Scienza e Vita” a proposito del ritiro – maggio 2006, ad opera dell’allora ministro per la ricerca Fabio Mussi, della “Dichirazione etica”; un documento attraverso cui l’Italia – insieme ad altri paesi europei – ha preso le distanze dallo stanziamento di fondi per la ricerca sugli embrioni stabilito dall’UE in seno al 7° programma quadro per la ricerca, vedi la pagina “cellule staminali” sul sito www.aduc.com).

Tuttavia, come abbiamo precedentemente accennato, le posizioni al’interno dell’area cattolica sono ben lungi dall’essere omogenee, presentando anche posizioni di apertura nei confronti della ricerca sulle embrionali.

Ad esempio, Giorgio Lambertenghi (si veda l’articolo del Corriere della sera del 13 novembre 2008, «Da cattolico dico sì alla ricerca sull' embrione»), presidente dell' Associazione medici cattolici di Milano, ha espresso in più di un’occasione posizioni distanti da quelle della CEI. Convinto “che si possa parlare di persone quando un individuo acquista una capacità comunicativa” assercisce che l’embrione sia “una vita umana solo potenzialmente” e sostiene che «la ricerca sulle cellule staminali embrionali non dev' essere bloccata». Pur esprimendo una posizione contraria alla creazione ad hoc di embrioni per la ricerca sostiene che “lasciare congelati nei frigo gli embrioni orfani vuol dire perdere un' occasione per aiutare i malati”.

Angelo Vescovi, professore di biologia applicata dell’università di Milano-Bicocca, Condirettore dell'Istituto di Ricerca sulle Cellule Staminali, condirettore dell'Istituto San Raffaele di Milano, Direttore della Banca della Cellule Staminali Cerebrali di Terni , studioso di fama mondiale in materia di cellule staminali, si oppone alla ricerca sulle cellule staminali embrionali per motivazioni di carattere etico e per motivazioni inerenti all’efficacia delle ricerche svolte in questo campo.
In più di un occasione il condirettore dell’Istituto San Raffaele si è dichiarato “contrario alla ricerca sugli embrioni”, non esistendo, a suo dire, “protocolli clinici, nemmeno a livello di sperimentazione sull'uomo, che si basano sull'uso di cellule embrionali”.
Nel discorso pronunciato (vedi “Avvenire”, 13 maggio 2005, www.avvenire.it) in occasione della presentazione del suo libro "La cura che viene da dentro" (Mondadori) il 28 Aprile 2005, Vescovi ha precisato che le cellule staminali embrionali “non sono embrioni e non pongono problemi etici". La questione e' piuttosto che "oggi queste cellule si ottengono producendo embrioni e poi distruggendoli".
Anche per Vescovi, dichiarartosi in più di un occasione agnositco e taoista, la questione principale è dunque l’embrione. L’embrione è fin dall’inizio vita e lo è, a suo dire, “su basi perfettamente scientifiche”. Asserisce infatti Vescovi: “La biologia non è scienza esatta, ma la fisica sì, ed esiste una branca della fisica che è la termodinamica. Qualunque fisico esperto di termodinamica può dire che all’atto della fecondazione c’è una transizione repentina e mostruosa, in termini di quantità d’informazione. Una transizione di quantità e qualità di informazione senza paragoni, che rappresenta l’inizio della vita: si passa da uno stato di totale disordine alla costituzione della prima entità biologica”.
Tuttavia Vescovi ha anche ammesso (vedi l’intervista rilasciata ad Arnaldo Consoli in occasione del primo incontro di “Scienza e vita” Terni, il 3 giugno 2005, sul sito della diocesi di Terni www.diocesi.terni.it) la possibilità che l’embrione non venga automaticamente distrutto a seguito del prelievo delle cellule staminali, “perché in quella fase della vita le cellule sono tutte uguali, quindi, teoricamente, prelevandone qualcuna dovrebbero riformarsi. Ma non possiamo saperlo. Ad ogni modo si tratta di un procedimento invasivo, quindi sicuramente non fa bene”. Non è detto che l’embrione venga distrutto, ma meglio non rischiare! Questo per quanto riguarda un aspetto prettamente etico.
Per quanto concerne invece la possibilità che la ricerca sulle embrionali possa portare a delle terapie efficaci, Vescovi non ha una posizione di netta chiusura, ha infatti ammesso la possibilità che gli studi sulle cellule staminali embrionali possano “continuare sperimentando sulle scimmie”, dato che “a livello embrionale, le cellule staminali delle scimmie sono esattamente come le nostre”; inoltre sempre nella stessa sede, ad una domanda circa una possibilità futura di risultati prodotti dalle staminali embrionali Vescovi ha così risposto: “In questo caso è evidente che il dibattito andrebbe riaperto. Ma oggi è un discorso che non ha senso, proprio perché la ricerca continua. Può continuare anche sugli embrioni soprannumerari. Anche perché un embrione congelato, di fatto, è morto, anche se le sue cellule staminali possono essere ancora vive. L’importante, però, è che non se ne producano altri”.
Ciò nonostante il condirettore del San Raffaele non ha mancato di ribadire quanto, a suo parere, la ricerca sulle staminali embrionali sia sopravvaluta: “A oggi non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di staminali embrionali, né si può attualmente prevedere se e quando questo diventerà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, e la loro intrinseca tendenza a produrre tumori” (vedi intervista rilasciata ad Arnaldo Consoli in occasione del primo incontro di “Scienza e vita” Terni, il 3 giugno 2005, sul sito della diocesi di Terni www.diocesi.terni.it).
Per Vescovi e' inoltre "un errore di fondo voler contrapporre cellule staminali adulte e embrionali". La sfida consiste piuttosto nel "trovare il modo per produrre cellule staminali embrionali da utilizzare per la terapia senza andare incontro a problemi etici. Le scorciatoie non sono accettabili per motivi etici"(vedi “Avvenire”, 13 maggio 2005 , www.avvenire.it).
Vescovi inoltre, pone l’attenzione su un tema sicuramente interessante ai fini della mappatura della controversia: lo stanziamento dei fondi per la ricerca.
Il fatto che gli scienziati debbano competere tra loro per poter reperire i finanziamenti uitli a proseguire le proprie ricerche ci ricorda, nel caso ce ne sia bisogno, quanto sia fondamentale il fattore economico nella ricerca scientifica. Secondo il condirettore del San Raffaele “In Italia la ricerca è bloccata dalla mancanza di fondi, che il governo (n.d.r Berlsuconi “bis”) ha tagliato ulteriormente, in Italia praticamente nessuno può permettersi di fare il lavoro di ricercatore. E poi da un nepotismo imperante che si è radicato all’interno delle strutture di ricerca italiane. Siccome in Italia la ricerca la fai a livello prevalentemente pubblico (perché il settore privato ancora non si è ricostituito dal crollo della chimica, della farmaceutica, dalla siderurgia), questo è un problema”.

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